Museo Digitale

Percorso
Artistico
Slide 1
Slide 2
Slide 3
Slide 4
Slide 5
Slide 6
Slide 7
Slide 8

Ingresso al palazzo

Il Palazzo: architettura e committenza

L’edificio, acquistato dal marchese Giuseppe Serra nel 1679, fu ristrutturato alla fine degli anni dieci del Settecento: il cantiere s’interruppe con la morte di Giuseppe Maria Serra nel 1726, e riprese dopo un decennio in occasione del matrimonio tra Laura Serra (1723-1790), duchessa di Cassano, e il suo cugino genovese Giuseppe Maria Serra (1714-1763). A Ferdinando Sanfelice (1675-1748) è tradizionalmente attribuita l’ideazione di una parte significativa della nuova fabbrica, tra cui il cortile ottagonale d’ingresso, il quale, tramite l’arco monumentale, introduce allo scalone scenografico: la continuità prospettica dei due ambienti, oggi spezzata dalla vetrata, doveva essere cruciale nel progetto originario dell’architetto. Molte delle idee di Sanfelice furono realizzate dopo la sua morte: tra gli anni cinquanta e settanta del Settecento il palazzo fu ampliato grazie all’acquisizione di immobili e terreni limitrofi, e Giuseppe Astarita (1707-1775) contribuì a completarne il cortile ottagonale, il prospetto principale su Via Egiziaca e la facciata e i due portali a bugne su Via Monte di Dio. Bernardo De Dominici (1683-1759), il principale biografo degli artisti napoletani, alla metà del Settecento descrive in maniera suggestiva l’aspetto teatrale che il cortile doveva rivelare ai suoi visitatori: con archi che ospitavano “giardini di agrumi”, e una loggia superiore dove “vi si poteva passeggiare in piano dall’appartamento maggiore”.

Description
01/08

Il Palazzo: architettura e committenza

L’edificio, acquistato dal marchese Giuseppe Serra nel 1679, fu ristrutturato alla fine degli anni dieci del Settecento: il cantiere s’interruppe con la morte di Giuseppe Maria Serra nel 1726, e riprese dopo un decennio in occasione del matrimonio tra Laura Serra (1723-1790), duchessa di Cassano, e il suo cugino genovese Giuseppe Maria Serra (1714-1763). A Ferdinando Sanfelice (1675-1748) è tradizionalmente attribuita l’ideazione di una parte significativa della nuova fabbrica, tra cui il cortile ottagonale d’ingresso, il quale, tramite l’arco monumentale, introduce allo scalone scenografico: la continuità prospettica
dei due ambienti, oggi spezzata dalla vetrata, doveva essere cruciale nel progetto originario dell’architetto. Molte delle idee di Sanfelice furono realizzate dopo la sua morte: tra gli anni cinquanta e settanta del Settecento il palazzo fu ampliato grazie all’acquisizione di immobili e terreni limitrofi, e Giuseppe Astarita (1707-1775) contribuì a completarne il cortile ottagonale, il prospetto principale su Via Egiziaca e la facciata e i due portali a bugne su Via Monte di Dio. Bernardo De Dominici (1683-1759), il principale biografo degli artisti napoletani, alla metà del Settecento descrive in maniera suggestiva l’aspetto
teatrale che il cortile doveva rivelare ai suoi visitatori: con archi che ospitavano “giardini di agrumi”, e una loggia superiore dove “vi si poteva passeggiare in piano dall’appartamento maggiore”.

Scenografia barocca

Ospitato in un grande ambiente luminoso dagli angoli arrotondati e dalla volta a padiglione, lo scalone monumentale che conduce al piano nobile di Palazzo Serra di Cassano è uno degli episodi più celebrati dell’architettura barocca meridionale. Il progetto dell’opera è tradizionalmente ascritto a Ferdinando Sanfelice (1675-1748), che dovette realizzarlo alla fine degli anni trenta del Settecento: una sua testimonianza autografa conservata nell’archivio della famiglia Serra testimonia l’impegno ch’egli profuse nella cura d’ogni particolare dell’impresa. Con la sua posizione preminente e con le trasparenze delle sue aperture lo scalone domina la prospettiva del Palazzo e induce lo sguardo dello spettatore ad abbracciare l’intera spazialità dell’edificio. L’impostazione scenografica delle due rampe simmetriche è rimarcata dalle membrature a volute dei tre archi nel mezzo, che rendono ancor più irrequieto l’andamento dell’architettura, e dall’accostamento ‘pittorico’ tra il rustico piperno, adoperato per la struttura, e il prezioso marmo statuario, in cui sono intagliati i balaustrini e i fregi vegetali.

Luigi Serra e la collezione d’arte della famiglia

Luigi Serra (1747-1825), quarto duca di Cassano, era un uomo assai incline alle arti liberali. Alla metà degli anni sessanta del Settecento uno dei pittori più richiesti dall’aristocrazia napoletana, Carlo Amalfi (1707-1787), fu incaricato di realizzare una serie di ritratti familiari di grande qualità, da poco riemersa, in cui possiamo riconoscere Luigi, allora diciannovenne, suo fratello Pasquale e i loro genitori Giuseppe Maria (1714-1763) e Laura Serra (1723-1790). Da alcuni inventari risalenti agli anni trenta dell’Ottocento e riscoperti solo di recente veniamo a conoscenza della straordinaria collezione di opere d’arte che i Serra avevano radunato all’interno del Palazzo, e che contava più di cento quadri, mille e duecento disegni e ben ventiseimila stampe. La raccolta venne dispersa alla metà dell’Ottocento, dopo che un tentativo di acquisizione da parte del Real Museo Borbonico non andò a buon fine. Tra i capolavori della collezione sono da segnalare alcuni straordinari disegni dello spagnolo Jusepe de Ribera (1591-1652), tra cui il celebre ed enigmatico Studio di pipistrello e di due orecchie, oggi conservato al Metropolitan Museum of Art di New York.

Una nuova antichità

L’ampia anticamera era stata un tempo adibita a sala da bigliardo. Nei sovrapporta, decorati da cornici a fogliami e arabeschi dorati, sono raffigurate menadi danzanti che richiamano modelli pompeiani, il cui stile risulta debitore della verve decorativa di Giacomo del Po (1654-1726). Degni di nota sono nche il prezioso lampadario in vetro di Murano, a tre ordini di bracci con festoni e pendenti, e le due consolles in legno intagliato e dorato, dai piedi caprini e dagli intagli conchigliformi, risalenti all’ultimo quarto del Settecento. La decorazione dell’attigua Sala dei paesaggi va invece fatta risalire con ogni probabilità ai lavori di ammodernamento promossi nel 1866 dal duca Francesco Serra e dalla moglie Clotilde Giusso del Galdo: oltre alle scene bucoliche sono da rimarcare i decori a forma di lira dei sovrapporta, che ricordano l’antica destinazione del Salone degli specchi ad auditorium della Società Filarmonica dei Nobili.

 

Da galleria a sala della musica

Nel Salone degli specchi doveva in origine essere esposta la ricca collezione di dipinti dei Serra di Cassano, dispersa in gran parte nella prima metà dell’Ottocento. Di gusto neoclassico, la sala è arricchita da specchiere e da riquadri e decori con arabeschi e festoni. Nel 1862 l’ambiente fu frazionato per essere destinato ad appartamento, ma in séguito venne recuperato dall’architetto Antonio Francesconi su iniziativa del duca Francesco Serra e di Clotilde Giusso del Galdo. Dal 1874 al 1892 la Galleria fu adibita a sala di musica della Società Filarmonica dei Nobili. Nel secondo dopoguerra venne nuovamente restaurata dal duca Francesco di Cassano e da Elena Parodi Delfino e adattata a salone da ballo e di ricevimento. Una porta sul fondo dà accesso alla stanza, non visitabile, in cui è custodito l’archivio storico dei Serra di Cassano, che conserva importanti documenti sulla famiglia e sulla costruzione e decorazione del Palazzo dal XVI al XIX secolo.

Splendore rocaille

L’ambiente, destinato verosimilmente a sala delle udienze, custodisce il ciclo decorativo più prezioso del Palazzo, dedicato alle imprese di Scipione l’Africano e realizzato da Giacinto Diano (1731-1804), allievo di Francesco De Mura (1696-1782) e protagonista della stagione del rococò a Napoli. Nel 1770 Diano firmò e datò l’affresco centrale del soffitto raffigurante Massinissa e Sofonisba che rendono onori a Scipione, il cui bozzetto di presentazione si conserva al Rijksmuseum di Amsterdam; e nello stesso periodo eseguì le Imprese dell’Africano nei quattro ovali a monocromo della volta e nei sei dipinti a olio su tela che decorano i sovrapporta della sala. Con quest’impresa il pittore è riuscito a incarnare pienamente lo spirito rocaille: nell’elegante equilibrio della composizione, nella gestualità aulica dei personaggi, nella qualità smagliante dei colori e nei morbidi passaggi chiaroscurali delle scene a monocromo. Di grande effetto è anche la decorazione a stucco dell’ambiente, dal ritmo sinuoso e ondulatorio, la cui esecuzione, affidata a maestranze ancora da identificare, dovette avvenire sotto il diretto controllo del medesimo Diano.

Cortesie per gli ospiti

Luogo di rappresentanza per eccellenza, la Galleria è decorata con cornici e fregi a rilievo d’ispirazione classica e con dipinti a monocromo di soggetto mitologico collocati al di sopra delle porte e degli specchi. Del mobilio originario restano le due consolle semicircolari a tre piedi e i divanetti e le poltroncine in legno decorato in verde e oro disposti lungo le pareti; posteriore è invece il tavolo con piano in finto marmo, che occupa uno spazio che in origine doveva restare libero per accogliere gli invitati. Nella vetrina in stile rococò sono esposte alcune porcellane della manifattura di Meissen, il più antico e prestigioso centro di produzione di porcellana in Europa, che fu fondato da Augusto il Forte nella città sassone all’inizio del Settecento. Il servizio contava circa 200 pezzi, oggi in gran parte conservati al Museo di Capodimonte.

Il Cavalier Calabrese e le illusioni prospettiche

La sala deve il suo nome al Giudizio di Salomone di Mattia Preti (1613-1699), uno dei principali interpreti della pittura barocca italiana. Riferibile agli ultimi anni di attività dell’artista, la tela è testimonianza di rilievo della ricca collezione dei Serra di Cassano, andata in gran parte dispersa nella prima metà dell’Ottocento. Il celebre episodio raffigurato dal Cavalier Calabrese è tratto dal primo Libro dei Re dell’Antico Testamento: non conoscendo a quale delle due pretendenti appartenesse realmente il bambino, Salomone ordinò che quest’ultimo venisse tagliato, così che ciascuna ne ricevesse una parte. Nella donna che si disse subito disposta a rinunciare al bambino, fermando la mano del carnefice, il Re d’Israele riconobbe la vera madre. Degni di nota sono anche i quattro sovrapporta raffiguranti le Allegorie delle Stagioni: essi furono decorati all’inizio degli anni settanta del Settecento da Giacinto Diano (1731-1804), figura di riferimento nella pittura napoletana del suo tempo e già autore nella Sala dei Capitoli dello splendido ciclo decorativo dedicato a Scipione l’Africano (1770). Le prospettive architettoniche dipinte nella volta sono invece da assegnare a Giovan Battista Natali, pittore quadraturista di origine emiliana trasferitosi alla corte napoletana di Carlo III nel 1749 e documentato a servizio dei Serra di Cassano fino al 1757.

en_USEnglish