







Ingresso al palazzo
Il Palazzo e la Rivoluzione
Palazzo Serra di Cassano è uno dei luoghi simbolo della Rivoluzione napoletana del 1799. In origine al Palazzo non si accedeva, come accade oggi, da Via Monte di Dio. L’ingresso principale era quello di Via Egiziaca sulla quale si affaccia il portone rimasto chiuso dal 20 agosto del 1799 per volontà del duca Luigi Serra di Cassano, che da lì aveva visto uscire, per essere condotto al patibolo, suo figlio Gennaro. Il giovane Serra, decapitato all’età di 26 anni, fu vittima, assieme a molti altri patrioti, della violenta repressione voluta da Ferdinando IV di Borbone e da sua moglie Maria Carolina d’Austria. Ripreso il potere, grazie all’intervento dei Sanfedisti guidati dal cardinale Ruffo, il re e la regina colpirono con la condanna a morte e all’esilio quanti avevano partecipato attivamente alla Repubblica tra il gennaio e il giugno 1799. In quei pochi mesi si era rapidamente consumata un’esperienza di governo che, seppur effimera, avrebbe avuto delle importanti ricadute sui moti primo ottocenteschi e sul processo di unificazione italiana.




Il Palazzo e la Rivoluzione
Palazzo Serra di Cassano è uno dei luoghi simbolo della Rivoluzione napoletana del 1799. In origine al Palazzo non si accedeva, come accade oggi, da Via Monte di Dio. L’ingresso principale era quello di Via Egiziaca sulla quale si affaccia il portone rimasto chiuso dal 20 agosto del 1799 per volontà del duca Luigi Serra di Cassano, che da lì aveva visto uscire, per essere condotto al patibolo, suo figlio Gennaro. Il giovane Serra, decapitato all’età di 26 anni, fu vittima, assieme a molti altri patrioti, della violenta repressione voluta da Ferdinando IV di Borbone e da sua moglie Maria Carolina d’Austria. Ripreso il potere, grazie all’intervento dei Sanfedisti guidati dal cardinale Ruffo, il re e la regina colpirono con la condanna a morte e all’esilio quanti avevano partecipato attivamente alla Repubblica tra il gennaio e il giugno 1799. In quei pochi mesi si era rapidamente consumata un’esperienza di governo che, seppur effimera, avrebbe avuto delle importanti ricadute sui moti primo ottocenteschi e sul processo di unificazione italiana.
Una «rivoluzione passiva»
La Rivoluzione aveva convogliato tanto le forze che da decenni tentavano di trasformare la monarchia napoletana attraverso un processo di riforme, quanto i movimenti più radicali che puntavano invece a instaurare una repubblica. Nell’una e nell’altra parte erano coinvolte le migliori menti del Regno di Napoli: gli allievi di Antonio Genovesi, di Ferdinando Galiani e di Gaetano Filangeri, i giovani che si erano nutriti di idee illuministe, giuristi, medici, uomini di lettere. Molti pagarono con la vita il loro impegno politico; altri con l’esilio. Tra questi ultimi anche Vincenzo Cuoco, autore del Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli. L’opera, stampata a Milano, dove Cuoco era riuscito nel frattempo fortunosamente a riparare, conobbe subito un grande successo. Il Saggio contribuì ad alimentare il mito del sacrificio dei giacobini morti per la libertà. L’autore, tuttavia, non esitò a individuare nella dipendenza del governo repubblicano dal modello francese una delle principali cause del fallimento della rivoluzione che, per questa ragione, definì «passiva». L’accento posto sullo scollamento tra popolo e classe colta quale acceleratore della fine della Repubblica, avrebbe offerto in seguito ad Antonio Gramsci un paradigma interpretativo per leggere la questione meridionale.
La biblioteca di Luigi Serra

Dopo la repressione borbonica sarà la Restaurazione a infliggere un nuovo colpo al duca Luigi, che negli anni dei sovrani napoleonidi aveva rivestito diversi incarichi pubblici. Il declino economico che colpisce i Serra dopo il 1815 lo costringe ad alienare la biblioteca che con cura e dedizione aveva accresciuto per decenni. Essa era probabilmente già molto nutrita nel 1778, quando il duca Luigi commissionò l’ex libris raffigurante lo stemma di famiglia (riprodotto anche sul soffitto del vestibolo, che reca impresso il motto Venturi non immemor aevi). Negli anni successivi la biblioteca fu accresciuta anche grazie alla fitta rete di rapporti che il duca aveva intessuto con cultori di libri antichi e con bibliotecari, dentro e fuori i confini italiani. Le corrispondenze epistolari di cui si ha notizia, quella con Angelo Maria Bandini, allora responsabile della Biblioteca Laurenziana e, soprattutto, quella con il noto bibliofilo Angelo Maria D’Elci, rivelano la vastità degli interessi del duca e il suo progetto di raccogliere innanzitutto libri stampati a Napoli e edizioni rare (tra le quali, particolarmente pregevoli le prime edizioni di classici antichi). Notevole la collezione di incunaboli di cui resta un catalogo con Prefazione dello stesso Luigi Serra, stampato nel 1807. Tale patrimonio librario è ora conservato in buona parte alla John Rylands Library di Manchester, dov’è confluito insieme alla biblioteca del conte George Spencer, il quale, durante un viaggio a Napoli tra il 1819 e il 1820 alla ricerca di rarità bibliografiche, l’aveva acquistato per soli 30 mila ducati.
Le madri della patria
Il 17 giugno 1770 il duca Luigi aveva sposato Giulia Carafa Cantelmo Stuart figlia del principe di Roccella. In quella stessa giornata il legame tra le due famiglie veniva ulteriormente rinsaldato dal matrimonio tra la sorella minore di Luigi, Maddalena Serra, e Gherardo Carafa, fratello di Giulia. Per l’occasione il poeta Luigi Serio, futuro martire della Repubblica napoletana, raccolse in un libretto per nozze, sonetti, anacreontiche, epitalami suoi e di alcuni dei letterati all’epoca più noti. Tra costoro anche Eleonora Fonseca de Pimentel che avrebbe poi preso parte attiva alla Rivoluzione. A lei sarebbe stato affidato il compito di dirigere il Monitore Napoletano, l’organo ufficiale della stampa repubblicana. Dai fogli di questo giornale Pimentel avrebbe incoronato Giulia Carafa e sua sorella Maria Antonia “madri della patria” in ragione dell’impegno profuso nella raccolta dei fondi per la Cassa nazionale. Del medesimo titolo fu insignita anche Luisa Sanfelice per aver contribuito a sventare la congiura dei Baccher, una famiglia di banchieri fedelissimi al re e intenzionati a rovesciare la neonata Repubblica. Un ritratto di Luisa Sanfelice è tuttora esposto in una delle sale del Palazzo.
Il silenzio dell’Archivio. I fratelli Serra.

Al di là del Salone degli specchi si conserva l’Archivio dei Serra di Cassano, una miniera di documenti che consentono di ricostruire la storia della famiglia, dei suoi possedimenti e dell’edificazione del Palazzo. Quasi nulla resta invece a testimonianza delle passioni erudite di Luigi Serra, dei suoi molteplici contatti epistolari, né della formazione di Giuseppe e Gennaro, i due tra i suoi quattordici figli che furono maggiormente coinvolti nelle vicende del ’99. Si può ipotizzare che tali assenze siano esse stesse collegate al clima determinato dalla durissima repressione borbonica che seguì la caduta della Repubblica. I due fratelli Serra si erano nutriti di idee illuministe fin dal periodo di studio in Francia, presso il collegio di Sorèze, sede di una loggia massonica. Tornati a Napoli, aderirono alla massoneria e frequentarono gli ambienti in cui circolavano idee rivoluzionarie. Giuseppe, coinvolto nella congiura giacobina del 1794, l’anno successivo fu imprigionato a Castel Sant’Elmo. Una volta liberato, pur avendo aderito alla Rivoluzione, al contrario di Gennaro riuscì a sfuggire alla pena di morte in quanto inviato a Genova come ambasciatore per la Repubblica ligure.
Scipione, un eroe (neo)classico

Il 1770, l’anno impresso da Diano sull’affresco centrale, è anche quello del matrimonio di Luigi Serra con Giulia Carafa. La scelta dei soggetti qui rappresentati appare un’ulteriore testimonianza degli interessi antiquari del duca. L’epigrafe leggibile in uno dei sovrapporta, che recita “ingrata patria non avrai neppure le mie ossa”, recupera l’epitaffio di Scipione riportato da Valerio Massimo (nei Fatti e detti memorabili). Tra gli episodi della vita dell’Africano – che deve il suo nome e la sua fama al valore mostrato durante la seconda guerra punica – la preminenza è assegnata alle figure di Massinissa e Sofonisba collocate in posizione centrale. Le vicende storiche narrate nell’Ab urbe condita di Tito Livio intorno a Scipione avevano conosciuto straordinaria fortuna in epoca moderna e soprattutto nel Settecento francese e italiano. Dopo la consacrazione dell’eroe Scipione nel poema latino Africa di Petrarca, Sofonisba aveva conquistato la scena divenendo protagonista, già nel Cinquecento, del dramma di Gian Giorgio Trissino. Ma sono le tragedie di Scipione Maffei e di Vittorio Alfieri, l’una al principio e l’altra alla fine del diciottesimo secolo, e i numerosi libretti d’opera a lei dedicati, a fare di quell’antico esempio di virtù una moderna eroina tragica.
Ingrata patria. La repressione borbonica


L’idea di Repubblica. L’eredità della rivoluzione.

Mattia Preti, autore della tela “Il giudizio di Salomone” esposta in questa sala, è stato un pittore attivo a Napoli nei decenni in cui la città era stata teatro della rivolta di Masaniello, conclusasi tragicamente. Un precedente di cui i rivoluzionari del ’99 si servirono soprattutto per perorare la causa repubblicana presso il popolo nel tentativo – fallito – di coinvolgerlo e renderlo protagonista. La restaurazione del Regno Borbonico non spense del tutto la forza delle idee che avevano animato i repubblicani. Queste idee continuarono a circolare grazie a coloro che, mandati in carcere o in esilio, sopravvissero alla repressione e assunsero incarichi pubblici nel periodo napoleonico. L’eredità della rivoluzione fu così in parte raccolta dai moti liberali ottocenteschi. Tuttavia, la violenta reazione borbonica annientò una classe dirigente colta e capace di proiettarsi con lungimiranza nel contesto europeo post-rivoluzionario, in linea di continuità con la tradizione di pensiero dell’umanesimo e dell’illuminismo meridionale.